Non c’è frase che esprima più rassegnazione e tristezza di quella detta da Pietro nel Vangelo di Giovanni, 21, 1-19: “Io vado a pescare”. Gli apostoli, ridotti a sette in questo brano evangelico, erano ritornati al loro luogo di origine, scoraggiati da quanto era avvenuto con la morte di Gesù. Egli era apparso già due volte ma non era bastato. Forse sembrava loro di aver sognato, o che tutto si era concluso in quella maniera così strana.
Si torna sempre al lavoro quotidiano quando ti senti sconfitto, quando tutto quello che avevi sperato svanisce e rimane solo un ricordo. Ritorni alle cose semplici di ogni giorno come per avere conforto almeno da esse, dalla tua vita precedente. Ma cosa doveva fare Pietro? Non gli restava che tornare a casa, non capiva, confuso, incredulo… Sicuramente cerca di reagire e dichiara che vuole andare a pescare. Seguito dagli altri, non riesce a pescare niente.
Anche il lavoro che ti proponi di eseguire, avendo in mente e in cuore un’esperienza fortissima, dei ricordi che ti girano nell’anima vorticosamente, non ti riesce bene. Anzi, non ti riesce affatto. Fallimento totale su questo fronte, povero Pietro… Soltanto la presenza di Gesù sulla riva che lo inviterà a ritentare, a non scoraggiarsi, e poi gli chiederà di amarLo per sempre, lo salverà forse da se stesso, dai suoi pensieri, dal suo dolore, dalla sua incapacità manifesta anche di fare quello che era il suo mestiere. “Seguimi”. E la sua vita ricomincia.
Abbiamo fatto anche noi l’esperienza dell’abbandono, della solitudine, dello scoraggiamento. In questi momenti qualcuno ci ha detto “credo in te, getta le reti e troverai”. Sicuramente non sarà stata un’apparizione o una manifestazione celestiale ma quante volte un amico, un insegnante, un sacerdote, i genitori, ci hanno detto quelle parole? Per i credenti l’amore di Dio si rivela attraverso i fratelli, attenti alle prove e alle necessità di chi sta loro accanto. E la scoperta è sempre quella: Dio ti ama immensamente e crede in te. Basta saperLo riconoscere.