“Il razzismo, per manifestarsi, ha bisogno di facilitazione. Bisogna che si senta incoraggiato dalle autorità e da una servizievole informazione. Al razzista serve il benestare per esprimersi. Vuole sentirsi prima spalleggiato, perché è intimamente vigliacco. Le leggi razziali produssero greggi razziali”. (Erri De Luca)
Organizzato dalla Gestapo, il rastrellamento del 16 ottobre del ’43 nel Ghetto ebraico avvenne nel silenzio che avvolgeva le primissime ore dell’alba: parliamo di 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine che abitavano principalmente in Via del Portico d’Ottavia e nelle strade adiacenti ma anche in altre zone della città di Roma. Furono avvisati tramite un biglietto la stessa mattina e deportati. Ritornarono in 16.
La storia del Ghetto di Roma inizia 40 anni dopo quello di Venezia. Il governo della Repubblica di Venezia, con decreto del 29 marzo 1516, stabilì obblighi e restrizioni per tutta la popolazione ebraica. Si decise così, che tutti, dovessero vivere in una sola zona della città, senza poter uscirne né di notte né durante le festività cristiane. La comunità ebraica di Roma è considerata la più antica al mondo, poiché se ne conosce l’esistenza sin dal tardo II secolo a.C. Fino a tutto il medioevo, la comunità non ebbe particolari difficoltà di convivenza con la popolazione cristiana. Nel 1555 il neoeletto pontefice Paolo IV decise di rinchiudere l’intera comunità ebraica entro un’area molto ristretta e impose severe leggi discriminatorie.
Guardando le vie, le case, la Sinagoga, il Museo del Ghetto scende l’ombra della tristezza per quanto “gli uomini” riescano a fare contro i propri simili. Purtroppo ancora si continua a navigare nel mare nero dell’odio e dei pregiudizi. Forse dovremo tornare indietro, navigare controcorrente per raggiungere la riva e, finalmente, incontrarci.
(Da Fondazione Erri De Luca)
Le leggi razziali produssero greggi razziali.
Qui di seguito il punto di vista di una persona, in quell’epoca, perplessa.
Da un balcone all’altro.
Abitava la casa di fronte, al filo steso dal suo balcone al mio
appendevamo i panni ad asciugare.
Con quel filo ci davamo una mano.
Lo so, li hanno buttati fuori dai lavori, da uffici,
mandato via i loro bambini dalle scuole,
tolte dal petto le medaglie conquistate in guerra.
Lo so, sono successe cose più importanti del saluto levato,
del filo di bucato che mi hanno fatto togliere.
So che le hanno i cani, ma non lo sapevo
che c’erano le razze in mezzo alle persone.
Dicevano: ”Non ci dobbiamo mischiare con loro”.
Ma mica siamo colori, che non vanno mischiati nel lavaggio.
Camicie, mutande, lenzuola appese insieme
erano tali e quali, invece noi con loro no,
da un giorno all’altro, da un balcone all’altro.
Lo so, sono successe cose più importanti del saluto levato,
del filo di balcone che mi hanno fatto togliere.
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