Guerra in Europa. La profezia di Giordani.

“L’odio è guerra, la guerra è miseria, e la miseria genera odio, che porta alla guerra: la morte genera morte. Non sarebbe tempo di pensare a vivere?” (Igino Giordani).

Per Giordani l’Europa unita era il sogno che andava costruito a tutti i costi per allontanare per sempre i venti di guerra che avevano flagellato interi popoli. Avendo partecipato alle due Guerre mondiali, anche se non ebbe mai a sparare un colpo durante la sua permanenza nel servizio militare da sottotenente, Giordani sapeva bene cos’era la guerra.

Dedica anni interi della sua vita a studiare a fondo le cause che provocano il contrasto con la giustizia e la pace, chiamandole per nome: egoismo, fame, miseria, disoccupazione, omicidio e si adopera in tutti i modi per diffondere un autentico e forte messaggio di unità.

Allo stesso modo però è cosciente che la pace parte dal cuore dell’uomo e quindi sa che bisogna compiere una doppia azione: intervenire a livello personale come cristiano, per far sì che la vita sia coerente con il messaggio di Cristo, e poi agire nella vita sociale, come giornalista e uomo politico, fino all’estrema testimonianza, quella di portare avanti le proprie idee a costo della derisione generale e del non fare carriera.

Una sorte di profezia aleggia nei suoi scritti, una profezia che vede lontano e anticipa i tempi perché la sua era una passione profonda nei confronti dell’umanità, unita alla ricerca e all’amore per la verità. Per Max Weber il profeta è proprio colui che intende operare direttamente nella storia, esercitando una funzione politica. Ricordiamo che è stato il primo firmatario, insieme al socialista Calosso, della prima legge sull’obiezione di coscienza.

Perle di Igino Giordani

Nel suo libro “Disumanesimo” scritto nel ‘49, denuncia gli intellettuali cristiani che in quel momento seguivano l’ideologia totalitaria, appiattiti sulle ideologie del tempo. In alcuni passaggi del libro possiamo riconoscere anche la situazione politica che tutti stiamo vivendo in questi giorni. Lo spettro dell’atomica, la terza guerra mondiale, l’eccidio di migliaia di uomini e donne sono realtà che stanno davanti a noi, voci non più sussurrate ma sono diventati titoli delle notizie che seguiamo con apprensione:

«S’è visto che accendendo la mina a Sarajevo o a Danzica si dà fuoco non solo alla Serbia o alla sola Polonia, ma all’Europa e al mondo. I cinque continenti sono le camere di un’unica polveriera. Per la bomba atomica l’umanità si mette nella prospettiva o d’essere straziata o di ridursi a vivere come o peggio dei cavernicoli: eppure diplomatici gretti e poveri, come per un’ossessione fatalistica, ripercorrono le stesse strade dei vecchi che, passo passo, condussero i popoli alla strage».[1]

La funzione della politica è sempre quella di essere al servizio dell’umanità non quella di servirsene. Il cristiano in politica è colui che dirige lo sguardo e le sue azioni con lucidità verso il bene della collettività:

«Lo sforzo della politica dovrebbe essere uno sforzo della carità, e quindi una pressione per superare e divisioni di partiti e classi all’interno, di razze e lingue all’estero. Quando i cristiani in politica s’accucciavano, tremebondi e disorientati, sotto i cicloni dei nazionalismi o esclusivismi di vario genere, rinunciavano in effetto al loro compito di portatori della carità, la quale è vincolo di unità: ché tanto essi s’accordano col Vangelo di quanto unificano. Ora la politica è esercizio, quanto mai delicato, di razionalità; e dovrebbe essere più d’ogni altro immune da passioni. Spesso invece diviene uno scatenamento di irrazionalità, d’istinti inferiori, al punto che le persone savie, le persone sante, se ne ritraggono per salvare, se non il corpo, almeno l’anima. Ma ormai è atto di eroica santità scendere a contrastare l’avanzata della pazzia sul terreno politico: gettare l’anima allo sbaraglio per la salute dei fratelli: quasi avventurarsi in una plaga di lebbra per servire i più disgraziati[2]».

L’analisi lucida della situazione creatasi sui vari tavoli di pace organizzati per la ricostruzione del dopoguerra è davvero impressionante:

«La seconda guerra mondiale è esplosa come la prima dall’accumulo di passioni, di avarizia e gelosia e odio; e il Trattato di Versailles, perché aveva voluto essere una vendetta, divenne un piazzamento di mine a orologeria: venuto il tempo che gli strumenti erano pronti, le mine esplosero, e l’Europa saltò. Queste cose pareva che fossero state capite. Certi discorsi di Roosevelt e di Churchill davano la speranza che la saviezza riprendesse seggio fra gli uomini della politica. E invece no. Quando si fu alle trattative per la pace, l’odore dei petroli, il lucore dell’oro, l’avarizia e la vendetta irruppero, come branco di bufale, e pestarono i propositi di saggezza, le aspirazioni di fraternità, le frasi della solidarietà coltivate, come un’aiuola d’asfodeli, tra gli orrori e le lagrime della guerra; e, oltrepassati i cimiteri dei morti in battaglia, bramarono nuova strage. Nell’euforia della vittoria, troppi statisti dimenticarono con l’odio non si fa niente, con la vendetta si accumulano esplosivi, con le spoliazioni di un popolo non si spoglia solo quel popolo, si spoglia anche il corpo sociale: lo si vulnera in un punto vitale e quello duole e produce pus e inquina tutto. La pace politica posa sulla pace interiore: non sui mitra fatti per uccidere, per far la guerra».[3]

Giordani, voce profetica, continua oggi a spiegarci perché la pace:

«Tocca a noi d’impedire che si riformino le condizioni che portano alla sofferenza irragionevole. Tocca a noi capire e far capire, come, essendo ogni conflitto una forma di suicidio, sia anche economicamente utile propugnare la pace. Il male che si fa al prossimo, in nome di qualunque pretesto, ricade a boomerang, su chi lo fa. In qualunque punto del pianeta si perpetri una nequizia, essa danneggia, in un modo o nell’altro, tutto il corpo sociale – l’intera famiglia umana -, e quindi anche chi la perpetra, anche li inserito nell’unico organismo, dove non s’introduce germe di male senza farsi del male». [4]

Patrizia Mazzola


[1] I. Giordani, Disumanesimo, Città Nuova, Roma, pagg. 63-64.

[2] Ibidem, pag. 66.

[3] Ibidem, pag. 81.

[4] Ibidem, pag. 82.

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