Epifania e Kairos, il nostro momento

“Epifania” di Mario Luzi, (1914–2005) ci può aiutare a riflettere su questo tempo, sul nostro Kairos, tempo rivelatore che è stato definito una porta sull’interiorità, che è anche un dare senso a ciò accade, un aprirsi alla qualità del tempo osservando le cose da un altro punto di vista. E ad inizio d’anno non possiamo non concentrarci sul “tempo”, sui tanti perché che improvvisamente trovi galleggianti nel fiotto dei tuoi pensieri, sulle timide risposte che hai potuto dare.

Storia narrata da secoli, tramandata da generazioni, quella dei Magi è la più avvincente delle narrazioni. Simboli direi eterni, questi personaggi non invecchiano mai. Sono forse la rappresentazione di ciascuno di noi, delle donne e degli uomini di tutti i tempi che vorrebbero risposte certe ai loro perché: “Ci mettemmo in cammino a passo rapido, per via ci unimmo a gente strana”. Una gran polvere accompagna questo quadro, gente frettolosa, che si reca alla “Cuna”, alla culla perché sicuramente quella nascita è un evento da non perdere.

E intanto “chi vigila non teme questo vento di mutazione“. E intanto, ad un certo punto del tuo cammino, la tua anima ti dirà “è l’ora“, “non più tardi di ieri, ancora oggi”.

EPIFANIA

In una notte come questa, 
in una notte come questa l’anima, 
mia compagna fedele inavvertita 
nelle ore medie 
nei giorni interni grigi delle annate, 
levatasi fiutò la notte tumida 
di semi che morivano, di grani 
che scoppiavano, ravvisò stupita 
i fuochi in lontananza dei bivacchi 
più vividi che astri. Disse: è l’ora. 
Ci mettemmo in cammino a passo rapido, 
per via ci unimmo a gente strana.

Ed ecco 
Il convoglio sulle dune dei Magi 

muovere al passo dei cammelli verso 
la Cuna. Ci fu ressa di fiaccole, di voci. 
Vidi gli ultimi d’una retroguardia frettolosa. 
E tutto passò via tra molto popolo 
e gran polvere. Gran polvere. 

Chi andò, chi recò doni 
o riposa o se vigila non teme 
questo vento di mutazione

tende le mani ferme sulla fiamma, 
sorride dal sicuro 
d’una razza di longevi. 

Non più tardi di ieri, ancora oggi.

(da “Onore del vero”, 1957)

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