Tutti noi abbiamo in qualche modo sperimentato l’attesa. Proviamo a riflettere sul sapere aspettare, del come aspettare, di chi e cosa aspettiamo. Quanto conta questa attesa? Come ci prepariamo all’attesa? Come riempiamo il tempo durante l’attesa?
Diceva Siddharta: «So pensare. So digiunare. So aspettare». Cosa investiamo di noi stessi in questo “so aspettare”? Non è uno stare passivi, rassegnati, aspettando semplicemente qualcosa o qualcuno ma, questa attesa, scrivono alcuni maestri del pensiero spirituale, deve essere abitata.
Bellissima parola, abitare, perché indica uno stare ‘in presenza’ diremo oggi, dopo l’esperienza della pandemia. Un’attesa quindi non virtuale ma presente, appunto: abitata, viva, condita da silenzi ma anche da parole, da pensieri colorati che ci riportano a quel “chi/che cosa sto aspettando”?
E ancora, scrive Masud Khan, psicoanalista: «Colui che attende trova. La non-attesa garantisce la non-scoperta». E il tempo di Natale ci ripropone questa parola, che ne prepara la Sua venuta, il Suo Natale. Come un profumo che senti nell’aria, il profumo di una presenza che ancora non vedi ma che già si percepisce, così l’aria che si respira in questi giorni ci prepara a Quel Giorno. E dipende proprio da quest’aria che respiri che farà di quello il Giorno.
L’attesa non è soltanto aspettare qualcuno che non c’è e che verrà. E’ interrogarsi, accettare una sfida, pronti a cambiare, è incontrarsi, volersi bene. E’ proprio nell’attesa che già si sperimenta questa presenza: è gioia, conforto, è già festa.