Ogni tanto ritorno al leit motiv del mio blog. La natura ci insegna l’essenziale della vita. È il caso del campo di grano. Per avere un buon raccolto bisogna partire dalla semina. Seminare sembrerebbe a prima vista quasi un affare in perdita, si getta nel terreno il seme buono e questo sparisce inghiottito dalle viscere della terra. Costa fatica al seminatore questo lavoro, deve prima preparare il terreno, curarlo, ararlo. Poi semina.
I tempi di oggi ci impongono un ritmo che non porta alla riflessione, a interrogarci, a studiare, meditare, leggere, formarci, avere pazienza nel rapporto con gli altri, a “seminare” dentro di noi e intorno a noi.
Pretendiamo di avere i frutti senza aver prima seminato. Vogliamo soddisfare i nostri bisogni, essere appagati ma non facciamo la fatica del seminatore. Il mercato, l’economia hanno la legge inflessibile del “subito e presto” per avere un ricavo immediato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Così, ad esempio, nel campo dell’educazione. Vorremmo vedere i risultati presto e subito, senza aver fatto la fatica di preparare il terreno, seminare e… aspettare. Dalla semina al raccolto, poi, passano i mesi, infuriano le intemperie, avanzano le stagioni, ma bisogna attendere e curare le piccole piantine appena sbocciate. Tra seminare è raccogliere c’è “innaffiare e aspettare”.
Una mia saggia amica, Dori Zamboni, ci raccontava che dalle persone non puoi pretendere nulla, devi solo aspettare se hai seminato e rispettare i suoi tempi: è come se tirassi una piantina per farla crescere. C’è un tempo per seminare e uno per raccogliere, recita il libro dell’Ecclesiaste. E il seme, da parte sua, deve morire nel terreno per poter germogliare e fruttificare. Leggi della natura.