Programmati per morire

Parlare di obsolescenza programmata in spiaggia è un argomento davvero singolare. Un’amica mi racconta la  diagnosi di un tecnico chiamato per riparare il frigo: “Non c’è niente da fare, il suo frigo è morto e non vale la pena ripararlo. Sono programmati apposta perché un giorno prestabilito si sfascino”.
Tutti quanti, penso, abbiamo fatto l’esperienza di un elettrodomestico, un giocattolo, un apparecchio che a un certo punto decide di morire. Mi sembrava che fosse una cosa normale ma il fatto che la mia amica abbia chiamato questa normalità obsolescenza programmata, mi incuriosisce e inizio a esplorare il fenomeno. Si tratta di una vera e propria strategia che definisce il limite della durata di un prodotto.
Iniziamo la storia dell’obsolescenza programmata con l’esultanza di alcuni ingegneri statunitensi che negli anni ’20 scoprono come far durare le lampadine praticamente in eterno. L’industria, però, si rende subito conto che il mercato così non funziona perché avviene ovviamente un crollo nelle vendite di lampadine. Interviene il Cartello Phoebus, una lobby dei principali produttori di lampadine e si trova subito il rimedio: gli stessi ingegneri vengono obbligati a dare una scadenza ai prodotti (1000 accensioni) in modo che si continui a comprare, vendere, usare e gettare. Persino  un’azienda chimica, la DuPont che crea una nuova fibra, il nylon, qualche anno dopo incarica i propri ingegneri a indebolire la fibra stabilendone la durata, la morte, spesso subitanea. Sono testimoni i nostri collant e gambaletti. Durata: zero.
Sta lì il nocciolo della questione: aumentare le vendite di tutti i nostri apparecchi televisivi, elettrodomestici, telefonia, batterie, stampanti, automobili – c’è stata una class action contro la Apple per la vendita di batterie evanescenti – per sostenere il mercato, altrimenti la disoccupazione infierisce, si chiosa. Mi sembra però che la disoccupazione  e la chiusura delle aziende siano in caduta libera, nonostante l’usa e getta dei loro prodotti. Quindi c’è un qualcosa che non funziona.
La ricerca prosegue e, scavando, scopro situazioni che possono benissimo far parte di una trama cinematografica: i nostri prodotti obsoleti e spesso tossici vengono venduti ed esportati soprattutto in Africa, spacciandoli come fuori moda e c’è un vero e proprio mercato illegale che procura guadagni a organizzazioni criminali. Quindi, dall’Africa traiamo le risorse prime (pensiamo al materiale per gli smart phones a motivo del quale ci sono guerre in corso) e rimandiamo in compenso i rifiuti tossici tecnologici.

Movimenti ecologisti e ambientalisti stanno portando una dura lotta contro questa pratica, e in questi giorni il Parlamento Europeo ha varato una legge per contrastare l’obsolescenza programmata. E’ altrettanto importante portare avanti azioni culturali, dovrebbe avvenire una vera e propria rivoluzione, quella che molti oggi chiamano decrescita. Viene da scoraggiarsi ma penso che il mercato siamo noi. A noi sta la responsabilità del riciclo dei prodotti, la riparazione e l’uso anche di apparecchi che sembrano obsoleti e passati di moda. La terra ringrazia.

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